Il Principio di Peter e il meraviglioso caos delle aziende moderne

Il Principio di Peter spiegato con ironia: perché i peggiori diventano capi e gli altri lavorano.

LAVOROPRINCIPIO PETER

Valerio Bernardo

10/7/20253 min leggere

C’è una legge non scritta che governa silenziosamente la vita d’ufficio, più potente delle policy aziendali e più inesorabile di qualsiasi piano di carriera: si chiama Principio di Peter.

La Legge

Formulata dallo studioso canadese Laurence J. Peter nel 1969, dice testualmente:

“In una gerarchia, ogni persona tende a salire fino al proprio livello di incompetenza.”

Tradotto dal burocratese: se sei bravo a fare il tuo lavoro, l’azienda ti promuove. E continua a promuoverti finché non trovi un ruolo in cui non sei più bravo. È il percorso naturale del dipendente moderno: cominci come risorsa preziosa, diventi manager disorientato e finisci come ostacolo organizzativo.

Il risultato è una piramide perfetta in cui le decisioni vengono prese da chi non sa più come si fa il lavoro vero, mentre chi lo sa davvero non ha voce in capitolo perché è ancora “troppo operativo”. L’ufficio medio è dunque un esperimento di selezione aziendale al contrario: i più capaci producono, i meno capaci coordinano, e tutti fingono che funzioni.

Nel mondo moderno, il Principio di Peter è diventato la colonna portante del management. Chiunque abbia partecipato a una riunione sa che il tempo è inversamente proporzionale all’utilità dei presenti. È la ragione per cui esistono i “capo progetto”, i “supervisor”, i “responsabili innovazione”: ruoli creati non per semplificare, ma per giustificare la confusione.

Il Corollario di Peter (o la Legge di Lambert, per chi preferisce dare la colpa a qualcun altro)

Se il Principio di Peter spiega la scalata verso l’incompetenza, il suo corollario ne svela la conseguenza:

“Il lavoro reale viene svolto da coloro che non hanno ancora raggiunto il proprio livello di incompetenza.”

In parole povere: l’azienda si regge su pochi impiegati ancora competenti. Sono loro a risolvere i problemi, chiudere le pratiche, scrivere le mail che poi il capo inoltra come proprie. Senza di loro, la baracca crollerebbe in tre giorni. Sono gli eroi invisibili del capitalismo moderno, quelli che mandano avanti tutto mentre i vertici “visionari” fanno brainstorming su come migliorare la produttività di chi già lavora troppo.

Nel 2025 questo corollario si è evoluto in chiave digitale. Oggi il lavoro vero lo fa chi è ancora umano, mentre le riunioni sono piene di chi parla di intelligenza artificiale senza sapere di cosa si tratta. L’unica AI che sembra funzionare davvero è quella che sostituisce la comunicazione umana con grafici colorati.

Una legge eterna come la pausa caffè

La forza del Principio di Peter è la sua universalità: vale ovunque ci sia una gerarchia. Dagli uffici statali alle multinazionali, dalle startup ai condomìni. È per questo che sopravvive al tempo e alle riforme: ogni generazione lo riscopre con stupore, come se fosse una novità.

Il dipendente di oggi ha solo strumenti più moderni per subirlo: un badge digitale, una chat aziendale piena di motivazione tossica e un capo che chiama “vision” quello che un tempo si chiamava “non ho idea di cosa stia facendo”.

Il paradosso è che, nonostante tutto, il sistema continua a funzionare. Ogni giorno milioni di impiegati si svegliano, aprono il computer e tengono in vita aziende che dovrebbero essere crollate sotto il peso delle loro stesse riunioni. È la resilienza del lavoratore medio, quello che ha capito che la carriera è una scala mobile verso l’assurdo e che l’unica strategia vincente è restare fermo e sembrare impegnato.

Alla fine, il Principio di Peter non è solo una teoria: è una profezia che si autoavvera. E noi, poveri impiegati consapevoli, non possiamo far altro che prenderne atto, sorridere amaramente e ringraziare chi ci tiene occupati con riunioni inutili. Perché, dopotutto, anche l’incompetenza ha bisogno di qualcuno che la renda possibile.

Il Principio di Peter e il meraviglioso caos delle aziende moderne

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